Testate, per ora in provetta e su animali, le nanoparticelle che sciolgono la placca (già approvate dalla Food and Drug Administration per altri usi clinici) potrebbero essere usate nella prevenzione delle carie, specie quelle precoci nei bambini. È quanto dimostrato su placca umana in provetta e su animali da laboratorio in una ricerca pubblicata sulla rivista Nature Communications da Hyun (Michel) Koo della University of Pennsylvania School of Dental Medicine.
Nanoparticelle in azione contro la placca
Le nanoparticelle disgregano la placca dentale con un meccanismo unico e selettivo. L’idea sarebbe di aggiungerle al comune dentifricio o al collutorio insieme ad acqua ossigenata.
Le nanoparticelle usate in questo studio sono di ‘ferumoxitolo’, già in uso contro l’anemia. In questo lavoro agiscono attivando un comune agente antisettico (acqua ossigenata, già presente in molti prodotti per l’igiene dentale) solo nelle zone dentali dove serve, ovvero dove l’aggregazione dei batteri è molto patogena, risparmiando zone della bocca dove il biofilm protettivo contiene batteri buoni.
Testate sulla placca patogena
Gli scienziati hanno fatto simulazioni con placca umana prelevata da pazienti con carie posizionata su smalto dentale umano. In questa condizione, le nanoparticelle agiscono in modo selettivo, disgregando la placca patogena e al tempo stesso prevenendo la distruzione dello smalto. Poi hanno ripetuto lo studio su animali da laboratorio con carie e visto che pochi giorni di sciacqui con le nanoparticelle più acqua ossigenata riducono le carie superficiali e bloccano del tutto la formazione di nuove carie nello smalto.
Una procedura ancora sperimentale contro la placca
L’idea di disgregare il biofilm è potenzialmente la strada più promettente contro le carie, ma farlo indiscriminatamente potrebbe compromettere l’equilibrio del microbioma della bocca che ha funzioni essenziali per la nostra salute. La parte più promettente di questo studio, infatti, è che l’azione delle nanoparticelle è legata al pH (acidità della bocca). In questo modo, ha un effetto potenzialmente selettivo solo sui batteri patogeni. Ovviamente va valutata la capacità di penetrazione nel biofilm e la possibilità di suscitare meccanismi difensivi (i batteri evolvono molto in fretta e spesso ad una strategia di attacco corrisponde lo sviluppo di un loro meccanismo difensivo). Al momento, però, si tratta di dati ancora sperimentali su modelli in vitro e in vivo, quindi si dovranno aspettare possibili test clinici. Ciò non toglie che l’idea sia molto interessante e innovativa.
Fonte: ansa.it